by Maurizio Barlassina | 19 Dic, 2016 | Annotazioni, Mindfulness e professione medica ed infermieristica |
La pratica della mindfulness crea, giorno dopo giorno, la possibilità di una più intensa presenza all’esperienza del momento che stiamo vivendo, caratterizza dall’essere una presenza mentale aperta e non automaticamente giudicante. Presenza mentale aperta significa connessione con i propri pensieri, con le sensazioni corporee e con le emozioni e contemporaneamente presenza a ciò che avviene nell’ambiente e con le persone con cui ci relazioniamo. La capacità di non essere automaticamente giudicanti, automatismo che con la pratica scopriamo presto essere pervasivo, ci apre all’accettazione di ciò che avviene fornendoci la possibilità di ridurre la consueta reattività e di rimanere equanimi. Infine l”equanimità e una reattività meno marcata ci permettono di incrementare attenzione, calma, empatia e pazienza. Questo atteggiamento mentale costituisce una base stabile che ci offre la possibilità di entrare in relazione con gli altri aprendoci a un ascolto autentico e mantenendo un comportamento assertivo. L’ascolto attento ci permette una migliore comprensione delle problematiche dell’altro e nel caso di un paziente abbracciando tutta l’esperienza della malattia, evitando un atteggiamento riduzionistico orientato ai soli aspetti biologici, perché la malattia, particolarmente quando assume caratteristiche di cronicità o di gravità, oltre ad alterare i parametri biologici interessa la vita intera della persona, le emozioni, lo stare nel mondo. Superare il modello relazionale di tipo paternalistico ci risulta allora più agevole e spontaneo e scopriamo una possibilità che si rivela più gratificante sia per il paziente che per il medico; non siamo più solo “gli aggiustatori”, come definiva Tiziano Terzani i suoi oncologi, bensì esseri in relazione che condividono aspetti comuni dell’esperienza umana; questo ci porta oltre la meccanicità e la ripetitività del lavoro,...
by Maurizio Barlassina | 26 Dic, 2015 | Annotazioni |
Parlando con colleghi e amici ho spesso l’impressione che la pratica della mindfulness sia vista ancora come qualcosa di eccentrico, forse un po’ new age e che, comunque, non se ne comprenda la pertinenza con l’attività professionale. Ebbene, non è assolutamente così e vorrei spiegare. Si tratta di una pratica profondamente formativa e trasformativa; intendo dire che è in grado di cambiare il nostro modo di essere. Questo è un primo punto fondamentale. Nonostante sia diffusissima l’opinione contraria, un profondo cambiamento personale è possibile e le conoscenze neuroscientifiche lo confermano: il cervello è plastico ed è proprio la neuroplasticità il substrato fisiologico che permette di acquisire nuove abilità. Ma non sono solo le abilità pratiche che possono essere incrementate; anche qualità umane come la pazienza, l’attenzione, l’empatia, la concentrazione si prestano ad essere coltivate, esattamente come una qualsiasi altra abilità: parlare una lingua, praticare uno sport o suonare uno strumento musicale. Proviamo a vedere per passi: la pratica della mindfulness ci aiuta d’apprima a incrementare la capacità di attenzione, attraverso la pratica di mantenere l’attenzione concentrata su un oggetto, senza giudicare ciò che osserviamo. Incrementare questa abilità ci permette di arrivare ad osservare e riconoscere con sempre maggior chiarezza e accuratezza qualcosa che prima ci sfuggiva: il continuo fluire dei pensieri e delle emozioni. Imparando ad osservare con l’apertura del non giudizio il fluire di questa attività interiore ci apre all’accettazione. A questo punto, l’essere più disponibili ad accettare ciò che si manifesta all’interno e all’esterno di noi inizia a ridurre la nostra reattività: smettiamo di soffrire perché vorremmo che l’esperienza fosse diversa da come è. Essere meno reattivi...
by Maurizio Barlassina | 18 Dic, 2015 | Annotazioni, Articoli scientifici |
Le malattie croniche rappresentano uno dei primi fattori di riduzione della qualità di vita percepita, oltre all’età, alle condizioni economiche e al livello di istruzione (2). Negli ultimi trent’anni abbiamo assistito a un aumento esponenziale degli studi pubblicati che valutano l’effetto della pratica della mindfulness (consapevolezza del momento presente, intenzionale e non giudicante ottenuta con il portare attenzione) in un ampio ventaglio di condizioni patologiche croniche che spaziano dall’oncologia alla pneumologia, dalla gastroenterologia alla neurologia etc.; è sufficiente accedere a PubMed per averne un’idea. Si potrebbe pensare che ci si trovi di fronte a una panacea. Tuttavia è assolutamente prematuro affermare oggi che la pratica della mindfulness possa essere una cura per le malattie croniche intese come processi biologici, anche se uno studio di Jon Kabat-Zinn effettuato su pazienti affetti da psoriasi già anni fa (2) sembrerebbe avanzare qualche suggestione a proposito. In quello studio, condotto all’ Università di Medicina del Massachusetts e pubblicato su Psychosomatic Medicine nel 1998, un gruppo di 37 pazienti affetti da psoriasi e sottoposti a fototerapia era stato randomizzato in due gruppi; uno di questi prevedeva, durante la seduta di fototerapia, l’ascolto di istruzioni di pratica mindfulness registrate mentre l’altro riceveva la sola fototerapia. I pazienti che avevano ricevuto le istruzioni mindfulness hanno registrato un miglioramento delle lesioni psoriasiche sensibilmente più rapido rispetto all’altro gruppo. In una patologia infiammatoria come la psoriasi in cui le cause sono ancora ampiamente sconosciute ma nelle quali probabilmente coesistono cause genetiche e autoimmunitarie, l’efficacia di una pratica riconosciuta come efficace nel ridurre lo stress sembra gettare un ponte tra mente e corpo. Su questo tema stanno indagando i...